Skopje, iuessei
La Macedonia è un posto che ti dà sensazioni strane. Quelle di familiartà sono probabilmente accentuate dal fatto di arrivare dalla Lettonia: le colline verdeggianti che circondano la città a 360 gradi mi avrebbero lasciato indifferente se in questo momento non abitassi in una terra piatta come un tavolo da biliardo; e invece mi hanno dato un senso di accoglienza e di familiarità che mi ha fatto capire quanto mi manchi un orizzonte che a un certo punto si alza e si delimita.
La città anche a un esame più approfondito si conferma estremamente squallida, con una serie di palazzoni ex-jugoslavi anni ‘70 e ’80 disordinati e francamente brutti, oltre che decisamente maltenuti. Ma il tutto ha un aspetto estremamente europeo, e quindi colpiscono particolarmente le numerose moschee e i minareti che spiccano qua e là per la città, in stile evidentemente orientale, che ricordano una secolare domincazione ancora radicata nella cultura e nella religione (anche se i musulmani sono solo circa il 20%), ma che stridono abbastanza con il resto dell’architettura.
Di storico non c’e’ praticamente nulla, visto che la città è stata distrutta da un terremoto qualche decina di anni fa, ed è rimasta solamente la rocca che svetta sulla città, con il quartiere albanese che si snoda lungo la salita: una specie di souk densissimo di botteghe, negozietti, mercatini, stormi di bambini che tentano di venderti fazzoletti di carta e probabilmente di sgraffignarti qualcosa, e la immancabile serie di facce poco rassicuranti.
In questo melting pot balcanico molto variegato e generalmente povero spicca il lungofiume vicino al centrale ponte di pietra: una distesa di locali estremamente fashion, con tavoli e gazebo da fare impallidire un naviglio di Milano per lusso e ostentazione, oltre che per dimensioni visto che lo spazio e’ decisamente più ampio. Piuttosto fuori contesto, ma comunque frequentatissimo dai macedoni, che paiono essere un popolo festaiolo che ama bere, andare in discoteca e fare bisboccia fino a tardi.
In tutto questo il motivo della visita, oltre che ai regolari incontri di lavoro, era una convention aziendale in stile american-fantozziano che ha confermato parecchie delle perplessità che avevo alla vigilia. Momenti di imbarazzo puro, uno su tutti il capo (ok, il CEO) che tentava di fare urlare a tutti il nuovo motto aziendale creato per l’occasione, sotto una pioggia di coriandoli argentati... ovviamente ha ottenuto 400 persone più mute di un francese dopo la finale dei mondiali, e un imbarazzo che si tagliava con lo spadone di Conan. Per citare un caro amico, io si che ho visto un bel mondo!
La città anche a un esame più approfondito si conferma estremamente squallida, con una serie di palazzoni ex-jugoslavi anni ‘70 e ’80 disordinati e francamente brutti, oltre che decisamente maltenuti. Ma il tutto ha un aspetto estremamente europeo, e quindi colpiscono particolarmente le numerose moschee e i minareti che spiccano qua e là per la città, in stile evidentemente orientale, che ricordano una secolare domincazione ancora radicata nella cultura e nella religione (anche se i musulmani sono solo circa il 20%), ma che stridono abbastanza con il resto dell’architettura.
Di storico non c’e’ praticamente nulla, visto che la città è stata distrutta da un terremoto qualche decina di anni fa, ed è rimasta solamente la rocca che svetta sulla città, con il quartiere albanese che si snoda lungo la salita: una specie di souk densissimo di botteghe, negozietti, mercatini, stormi di bambini che tentano di venderti fazzoletti di carta e probabilmente di sgraffignarti qualcosa, e la immancabile serie di facce poco rassicuranti.
In questo melting pot balcanico molto variegato e generalmente povero spicca il lungofiume vicino al centrale ponte di pietra: una distesa di locali estremamente fashion, con tavoli e gazebo da fare impallidire un naviglio di Milano per lusso e ostentazione, oltre che per dimensioni visto che lo spazio e’ decisamente più ampio. Piuttosto fuori contesto, ma comunque frequentatissimo dai macedoni, che paiono essere un popolo festaiolo che ama bere, andare in discoteca e fare bisboccia fino a tardi.
In tutto questo il motivo della visita, oltre che ai regolari incontri di lavoro, era una convention aziendale in stile american-fantozziano che ha confermato parecchie delle perplessità che avevo alla vigilia. Momenti di imbarazzo puro, uno su tutti il capo (ok, il CEO) che tentava di fare urlare a tutti il nuovo motto aziendale creato per l’occasione, sotto una pioggia di coriandoli argentati... ovviamente ha ottenuto 400 persone più mute di un francese dopo la finale dei mondiali, e un imbarazzo che si tagliava con lo spadone di Conan. Per citare un caro amico, io si che ho visto un bel mondo!
4 commenti:
Urlare "sotto una pioggia di coriandoli argentati"?
Ammetti che ti sei sentito come a un concerto dei Rammastein!
La prossima volta FILMA, perché mi pare che tutto questo miriti approfondimento! :D
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